Si narra che i primi “prototipi” di cocktail esistessero già nell’antichità, quando gli antichi Egizi impreziosivano le loro bevande fermentate con spezie, frutta, erbe e radici, o quando i Romani mescolavano il vino con altre bevande.
Ma qual è la vera storia del cocktail?
XVII secolo
Il primo miscelato di cui abbiamo notizie certe risale al 1600, nella forma in cui lo conosciamo ancora oggi: il punch.
Il punch nasce nei paesi asiatici come miscelato di diversi tipi di bevande, spezie, frutta e aromi, e trova la sua diffusione in Europa nel periodo delle conquiste in Oriente da parte dell’Inghilterra e del conseguente scoppio degli scambi culturali con il subcontinente asiatico.
Alla ricetta originale del punch, analcolica, si iniziò ad aggiungere una parte di rum, e a servirlo come drink pregiato a feste ed eventi dell’alta società in grandi bowls dalle quali i nobili dovevano attingere direttamente - tradizione che è arrivata intatta fino ai nostri giorni.
1860s
Il cocktail al bicchiere come lo conosciamo oggi nacque nella seconda metà del XIX secolo, con l’avvento della modernità e l’abitudine tra i “nuovi” uomini d’affari di frequentare regolarmente bar e saloon.
In particolare, la data “spartiacque” fu il 1866, anno in cui venne inventata la macchina per la produzione del ghiaccio artificiale: in pochissimo tempo, si diffuse la moda di consumare i distillati “on the rocks” (versati su dei cubetti di ghiaccio posti direttamente nel bicchiere), e successivamente anche quella da parte dei barman di utilizzare lo “shaker”, per raffreddare in breve tempo le bevande da servire al cliente.
1900s
La diffusione e l'accessibilità dei distillati nella seconda metà del XIX secolo diventa un vero e proprio problema in Europa, che vede salire a livelli allarmanti i problemi di salute e sociali legati al consumo di alcol, tanto da vedersi costretta, all’inizio del 1900, a imporre una serie di limiti e restrizioni.
Questa sorta di “proibizionismo”, in realtà, fu una spinta fondamentale per il mondo della mixology: l’esigenza di creare cocktail con una minore gradazione alcolica, infatti, fa sì che si diffondano miscelati più leggeri e beverini, lasciando spazio ad un utilizzo più vasto e creativo di bevande e ingredienti analcolici, dando vita ad una vera e propria arte della miscelazione.
1910s
Gli anni ‘10, in Italia, ospitano una delle più grandi correnti culturali rivoluzionarie del secolo: il Movimento Futurista.
L’esasperazione estrema della creatività e della rottura dei canoni tradizionali alla base del movimento travolge anche il mondo della mixology: abbinamenti mai visti, miscele azzardate, ricette sconosciute completamente a discrezione del barman - in una rivoluzione talmente radicale da arrivare a cambiare il nome stesso dei cocktail, patriotticamente ribattezzati “polibibite”, e dei vari distillati, soprattutto quelli stranieri.
Proprio questo movimento diventerà, grazie al suo particolare carattere artistico e alla sua estetica eccentrica e innovativa, precursore mondiale nell’arte della decorazione e della personalizzazione dei cocktail con elementi mai utilizzati prima, come fiori, spezie e frutta.
1920s
Sulla scia dell’Europa di inizio Novecento, negli anni ‘20 anche gli USA si trovano a prendere decisioni drastiche sul consumo di alcol da parte della popolazione - imponendo però un vero e proprio Proibizionismo, rendendo completamente illegale qualsiasi tipo di bevanda alcolica.
Si diffondono così oltreoceano due tipi di alcolici: quelli facili da contrabbandare (come il rum, importato di nascosto dalla vicina Cuba) e quelli veloci da produrre in casa (come il gin, spesso di qualità infima ma per il quale bastava una notte di lavoro in una qualsiasi cantina). Di conseguenza, si diffondono anche i cocktail realizzati con questo tipo di distillati, fino ad allora considerati “secondari” rispetti a quelli autoctoni come il whiskey e il bourbon - rigorosamente realizzati e consumati negli Speakeasy, locali segreti fuorilegge dove le persone si trovavano per assaporare l’insostituibile piacere di un drink.
In questi anni, proprio a causa del Proibizionismo, l’Europa diventa una meta gettonatissima dai turisti statunitensi: è così che gli hotel iniziano ad aprire i propri bar interni (alcuni dei quali divenuti iconici) e ad assumere i migliori mixologist a livello mondiale - molto spesso professionisti americani emigrati per portare avanti e affinare ancora di più la propria arte.
1930s
La fine del Proibizionismo negli USA apre le porte a quella che viene definita la “Tiki Era”: i locali che riaprono assumono un aspetto esotico, per celebrare le “fughe” all’estero (soprattutto nella vicina America centrale) che gli americani dovevano fare per potersi concedere il piacere di un cocktail senza il terrore di un arresto o una sparatoria.
In questo periodo si diffondono principalmente i cocktail a base di rum, coerentemente con lo spirito dei locali.
1950-2000
La Guerra Fredda porta con sé non solo forti tensioni politiche internazionali, ma anche grandi novità: il mondo della mixology vede l’ingresso della vodka, fino ad allora sconosciuta, e i barman colgono l’occasione per dare un nuovo slancio alla loro creatività e implementare ulteriormente l’arte della miscelazione con un genere di cocktail completamente nuovo.
Si diffondono così a macchia d’olio i cocktail a base di vodka - anche se non senza una certa diffidenza iniziale, dal momento che questo distillato veniva associato (non senza una certa valenza politica) alla classe operaia russa.
Sarà solamente con la fine delle tensione internazionali, l’apertura dei confini e l’esplosione del turismo di massa che il mondo del cocktail vedrà il suo massimo splendore, grazie agli scambi culturali e alla scoperta di nuovi distillati fino ad allora sconosciuti (come la Tequila e la Cachaça).
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